Teofilo Patini

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La Pinacoteca Patiniana, sita all’interno dello storico Palazzo De Petra di Castel di Sangro, è sicuramente il luogo d’elezione per ammirare l’opera pittorica di Teofilo Patini, ritenuto da molti uno dei maggiori, se non il maggiore, artista dell’800 abruzzese. Definito anche il pittore delle tre “S” in riferimento ai tre temi che principalmente hanno caratterizzato le sue opere: il sociale, lo storico ed il sacro.

Nacque a Castel di Sangro (L’Aquila) il 5 maggio 1840, terzo di dieci figli di una agiata famiglia di armentari. Fu avviato agli studi letterari dal padre Giuseppe, cancelliere di “giudicato regio” e successivamente notaio, che gli fece frequentare la scuola aperta a Sulmona da Leopoldo Corrucci, raffinato latinista e cospiratopre antiborbonico, e dallo studioso e patriota Panfilo Serafini. Tali maestri svolsero una parte fondemantale nella formazione culturale di Teofilo Patini, dando impulso alle inclinazioni patriottiche, umanitarie e sociali.

Trasferitosi a Napoli dove ben presto abandonò gli intrapresi studi di filosofia, per dedicarsi a quelli di pittura presso l’Accademia di Belle Arti che frequenta dal 1956, iniziò a seguire in particolar modo Domenico Morelli e Filippo Palizzi fautori in quel periodo di una profonda trasformazione del linguaggio pittorica.

Fondamentali nella sua formazione, specie dal punto di vista storico, furono la frequentazione dei conterranei Salvatore Tommasi e Bertrando Spaventa. La loro influenza si riverserà ben presto nelle opere pittoriche del giovane artista che si dedicherà nei primi anni a temi storici, con particolare interesse per personaggi quail Masaniello e Salvator Rosa. Fu proprio l’opera La  Rivoluzione di Masaniello che gli procurò i primi consensi che gli fecero ottenre, anche per i brillanti risultati in ambito più strettamente scolastico, appoggio economico da parte dell’Amministrazione Provinciale dell’Aquila.

Dopo l’impegno militare negli anni dell’unificaione nazionale, ottenne dapprima il Pensionato di Firenze e poi quello di Roma. Di questi anni le frequentazioni con Macchiaioli e con Michele Cammarano, con il quale ebbe approfonditi rapporti sia di lavoro che di studio.

Quando nel 1873 fece rientro a Castel di Sangro, si dedicò soprattutto all’approfondimento dei paesaggi e agli studi sulle condizioni di estrema povertà in cui viveno i suoi conterranei e che troveranno la loro massima esternazione pittorica nei Tre Orfani, in quella che viene considera la più celebre delle sue opere L’Erede, Vanga e Latte, esposta a Torino nel 1884 in coincidenza dei primi moti agrari del Veneto e poi acquistata dal Ministero dell’Agricoltura, e Bestie da Soma, presentata a Venezia nel 1887 e successivamente acquisita dall’Amministrazione Provinciale dell’Aquila.

Negli anni tra il 1882, quando venne chiamato grazie anche all’interessamento di Primo Levi a dirigere la Scuola d’Arti e Mestieri fondata ad Aquila, ed il 1884, quando su invito del Ministero dell’Agricultura si recò in Germania, le sue conoscenze si arricchirono delle esperienze europee.

Affianco alla tematica sociale che continuò ad attrarre il Maestro fino all’ultimo, si affiancò il tema del sacro, specie in conseguenza delle richieste della committenza dell’ultimo periodo.

L’intensa e dura carriera artistica trovarono il giusto coranamento con l’aggiudicazione, a seguito di un concorso nazionale, dell’importante incarico di affrescare l’Aula Magna dell’Università di Napoli, conferitogli dal Ministero della Pubblica Istruzione nel 1905. Compito che non ebbe la fortuna di portare a compimento poichè colpito da un attacco fulmineo che lo portò alla morte immediata in occasione di uno dei soggiorni nella città partenopea dedicati all’esecuzione dell’affreco, era precisamente il 16 novembre del 1906.

Terminava, così, una brillante carriera piena di intenso lavoro, di importanti riconoscimenti non solo a livello nazionale ma anche locale tanto che venne eletto sia Amministratore del Comune di Castel di Sangro che Consigliere Provinciale. Non mancarono, tuttavia, nella vita dell’artista grandi amarezze conseguenza di basse meschinità ed invidie, oltre che di gravi lutti familiari.

 

Fonti: studi e  scritti del Prof. Cosimo Savastano

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