Gli Eremi Celestiniani – Santo Spirito a Majella
S. Spirito a Majella è senza dubbio uno dei complessi monastici più famosi e più grandi della Majella, oltre che il più ricco di storia e di tradizioni. Ha subito molte trasformazioni nel corso degli ultimi mille anni ma conserva ancora tutto il suo fascino dovuto alla stupenda posizione nella valle a cui ha dato il nome, nonché all’atmosfera di mistero che ivi regna nel dedalo di scale e negli orti abbandonati.
Il piano terra della Badia è formato da tre settori ben distinti: una parte cultuale, una abitativa in gran parte diruta e la foresteria ricostruita in tempi recenti. Ovunque sono ben visibili, sulla parete, i resti di altre costruzioni con archi e colonne, oltre ai fori e agli attacchi di volta dei piani superiori. Dalla foresteria la Scala Santa, che si sviluppa in due rampe, conduce a due panoramiche balconate e all’oratorio della Maddalena.
Il primo documento su S. Spirito a Maiella porta la data del 1252, relativo ad una donazione di Gualtiero de Palearia, ma viene ritenuto dubbio da alcuni autori. Certamente autentico è quello del 1° giugno 1263 nel quale il papa Urbano IV delega il vescovo di Chieti Nicola di Fossa ad incorporare i monaci di S. Spirito nell’Ordine di San Benedetto. Non esistono documenti che attestino l’esistenza di S. Spirito prima dell’arrivo di Pietro. Nel XV e XVI secolo ci fu un lento declino, probabilmente dovuto alle difficoltà di mantenere efficiente un tale complesso in quelle severe condizioni climatiche. Il monaco Pietro Santucci da Manfredonia nel 1586 trovò il monastero in completo abbandono e i luoghi sacri adibiti a stazzi. Riuscì, nel giro di pochi anni, a restaurare il complesso costruendo, fra l’altro, la scala santa. Fra alti e bassi si giunse al 1807, anno della soppressione di numerose comunità monastiche. La Badia fu abbandonata, spogliata del poco che vi era rimasto e data in preda alle fiamme. Le opere più pregevoli in possesso della Badia furono per fortuna salvate perché portate nella chiesa di Roccamorice. Si tratta di due quadri, raffiguranti l’uno la Madonna e l’altro la discesa dello Spirito Santo nel Cenacolo, e di un Crocifisso ligneo che era posto nella celletta sottostante la chiesa. Nel corso dell’Ottocento più volte si tentò di rimettere in piedi il monastero, ma sempre con scarsi risultati. Alla fine del secolo, per opera di alcuni fedeli di Roccamorice, fu restaurata e riaperta al culto la chiesa.
Moltissime sono le leggende legate a questo luogo di culto e in particolare a Pietro da Morrone. Storie di diavoli, di profanazioni sacrileghe e di esemplari punizioni, tutte imperniate intorno alla figura del santo eremita. Un tempo numerose compagnie di pellegrini giungevano alla Badia risalendo la valle o valicando la montagna; oggi solo in occasione dell’apertura della “Perdonanza”, il 29 agosto, possiamo notare una discreta partecipazione di devoti.
Edoardo Micati
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