Gli Eremi Celestiniani – SAN BARTOLOMEO IN LEGIO

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Come altri eremi della Majella, San Bartolomeo fu ricostruito nel XIII secolo per opera di Pietro da Morrone. Non ne conosciamo con precisione la data di origine, ma sappiamo che Pietro non fece altro che restaurare un antico luogo di culto da tempo abbandonato.  Con molta probabilità Pietro da Morrone ricostruì l’Eremo poco dopo il 1250, visto che si tratta del primo ritiro da lui frequentato dopo S. Spirito. Sappiamo anche, seppure non con certezza, che il futuro Celestino V in compagnia di Francesco di Atri, Angelo di Caramanico, Nicolò di Serra e, secondo alcuni autori, di Berardo della Guardia, vi si stabilì intorno al 1274 per restarvi, più o meno stabilmente. In ogni caso, vi si recava spesso per ritrovare i suoi poveri romiti anche in qualità di priore dell’Ordine da lui fondato. Era in San Bartolomeo, in uno dei suoi frequenti  periodi di ritiro, quando fu costretto ad abbandonarlo  per l’eccessivo disturbo causatogli dalle frequenti visite dei pellegrini. Si trasferì in San Giovanni d’Orfento, luogo più impervio e isolato del precedente.

L’eremo, posto a circa 600 metri di quota nel vallone di S. Spirito, si sviluppa sotto un enorme tetto di roccia, lungo circa 50 metri, bucato nella parte iniziale per permettere la discesa nel sottostante terrazzo. La balconata rocciosa è chiusa all’estremità opposta dal muro della chiesa che presenta al di sopra dell’ingresso degli affreschi che risalgono al tempo della ricostruzione di Pietro da Morrone. Il piccolo ambiente prende luce da una porta-finestra; di fronte, sotto una pietra squadrata, c’è una risorgenza d’acqua che si raccoglie in una vaschetta ricavata sul pavimento. Una porticina di lato all’altare conduce in due piccoli ambienti che costituiscono la parte abitativa dell’eremo. Qui la balconata termina ed una lunga scala scavata nella roccia porta nel vallone. Al centro della balconata si trovano altre due scalinate: quella a destra, la “Scala Santa”, viene percorsa solamente in salita, generalmente in ginocchio e pregando. Nel sottostante vallone troviamo un ponte naturale ed una piccola sorgente, entrambi legati alle leggende e alle tradizioni locali.

L’eremo è ancor oggi molto frequentato, in particolar modo in occasione della processione del 25 agosto. Una moltitudine di pellegrini vi giunge al mattino presto e, dopo la Messa ed una veloce colazione consumata giù alla sorgente nel vallone, in processione porta il Santo in paese. I fedeli ripercorrono antichi sentieri dandosi il cambio per portare la leggera statua del Santo, uno alla volta, in braccio come fosse un bambino.

La statua in legno, bella nella sua raffigurazione paesana, ha la pelle sulla spalla sinistra ed un coltello nella mano destra. Tale iconografia si rifà alla tradizione che vuole San Bartolomeo martire in oriente, scorticato vivo. I fedeli riportano a casa l’acqua santa, raccolta sotto il masso all’interno della chiesa, e la distribuiscono ai parenti o la mandano all’estero ai familiari emigrati. L’acqua santa si presta a tutto: è l’ultima speranza per i moribondi, è miracolosa per le malattie dei neonati, cura piaghe e ferite. Anticamente era considerata l’unico rimedio contro la peronospera della vite.

Edoardo Micati

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