LI CHIAMAVANO PIFFERARI. ZAMPOGNARI, MITO DELL’ABRUZZO PASTORALE

Stendhal, Dikens, Berlioz, Lear, Gregorovius e molti altri protagonisti conosciuti e meno noti del Grand Tour in Italia si occuparono frequentemente di loro: gli zampognari.
Generalmente ignorati dalla cultura italiana, anche musicale, furono considerati e spesso esaltati con un alone di leggenda da scrittori, poeti, pittori e musicisti stranieri in occasione del loro viaggio italiano.
I viaggiatori del Grand Tour, scendevano in Italia attratti dalle testimonianze storiche del nostro paese, dall’arte, dai paesaggi e dallo stile di vita, rimanendo talvolta affascinati dalla civiltà pastorale abruzzese ovunque si manifestasse, nella regione come pure lungo i millenari sentieri della transumanza che univano l’Abruzzo alla Puglia, alla campagna romana e in misura minore all’agro ternano.
Una particolare espressione di questo mondo era costituito dai pastori musicisti, ossia gli zampognari.
“L’uso della zampogna era un tempo molto diffuso in tutto l’Abruzzo”scriveva con pizzico di nostalgia John Alfred Spranger sul Journal of the Royal Anthropological Institute, a margine di un articolo pubblicato nel 1922, in cui descrive il rito di San Zopito a Loreto Aprutino. Una riflessione che seguiva la progressiva scomparsa di questa tradizione, conseguenza del crollo dell’economia pastorale della regione, nei secoli precedenti legata a numeri imponenti. Nel 1592 la sola provincia dell’Aquila “svernava in Puglia 4.471.496 pecore”, seguendo gli antichi tratturi della transumanza. Il dato non comprendeva le c.d. pecore “rimaste”, i capi diretti alla campagna romana, all’agro ternano e quelle esistenti nelle altre province (cfr. Inchiesta Agraria JACINI 1877-1887).
Per gli artisti, letterati e musicisti che temevano di avventurarsi in Abruzzo, terra percepita come aspra, con montagne selvagge e pericolosa per la presenza di briganti, era possibile imbattersi nei pifferari – come li chiamavano – a Roma, dove arrivavano da tempo immemorabile nel periodo che precedeva il Natale, come pure a Napoli o in altre città, dove gli zampognari erano diventati un’istituzione.
A loro si devono testimonianze significative per ricostruire le tracce degli zampognari e della rilevante influenza esercitata nella cultura europea di ieri e di oggi.
Pastori e zampognari, paesaggi, greggi e costumi divennero – nell’800 – una componente frequente dell’Italia romantica e pittoresca proiettata all’estero.
Tutto ciò viene ricostruito nel mio ultimo libro “Li chiamavano pifferari: zampognari mito dell’Abruzzo pastorale”, ed. Menabò-D’Abruzzo, Ortona, 2013, che ho avuto il piacere di presentare agli associati del Convivio del Pensiero Critico nel corso di un incontro organizzato pressso il Polo Museale Santo Spirito di Lanciano il 9 maggio 2014, nell’ambito della mostra “Nell’anima l’eco delle zampogne”. Nell’occasione sono stati eseguiti alcuni brani a cura di musicisti dell’Associazione Culturale Zampogne d’Abruzzo.
Antonio Bini
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